Michela Murgia: «Grazie Asia Argento per aver raccontato: il problema non sei tu, ma questo Paese»

La scrittrice commenta la vicenda del produttore di Hollywood Harvey Weinstein, accusato di violenza sessuale da molte attrici e modelle. E fa il punto su certi commenti che scorrono feroci sui social network
Michela Murgia «Grazie Asia Argento per aver raccontato il problema non sei tu ma questo Paese»

Nell'articolo del New Yorker si leggono cose tipo: «Poi è andato in bagno ed è ritornato con addosso solo un accappatoio e una bottiglia di crema per il corpo in mano. Mi ha chiesto di fargli un massaggio». Dopo il massaggio, l’uomo l’avrebbe costretta «ad aprire le gambe e a subire un rapporto orale», nonostante lei gli avesse più volte detto di non farlo:** «Ero terrorizzata, non si sarebbe fermato davanti a un no. È stato un vero incubo».**

È l**a testimonianza di Asia Argento** che si aggiunge alla lista di attrici (tra cui Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow), collaboratrici e modelle che denunciano di essere state vittime di molestie da parte di Harvey Weinstein, uno dei più famosi produttori di Hollywood (qui il nostro speciale - «Il caso Weinstein»).

Sui social network la notizia è accolta da un fiume di offese di un maschilismo ferocissimo, molte firmate anche da donne, che accusano Asia Argento di «essersela cercata», di «aver aspettato troppo a parlare», «di aver goduto dei benefici di certe relazioni». «Solo in Italia vengo considerata colpevole del mio stupro perché non ne parlai quando avevo 21 anni ed ero terrorizzata. Sono delusa, triste», scrive Asia Argento su Twitter.

In effetti, i commenti sotto l'articolo di Weinstein confermano le sue parole, e un pensiero: «Viviamo in un Paese in cui non servono nemmeno i maschi per essere maschilisti», commenta Michela Murgia.

Decidiamo di parlare di quello che sta succedendo con lei, scrittrice impegnata nella difesa delle donne, da leggere il suo libro scritto con Loredana Lipperini L'ho uccisa perché l'amavo (falso!), Laterza.

Asia è stata investita da accuse durissime. Prima o poi possiamo sperare che una cosa del genere non accada più?«Purtroppo sugli adulti non si può fare nulla. La penso come Elena Giannini Belotti che negli anni '70 diceva che gli stereotipi di genere si formano tutti entro i primi cinque anni di vita. O viene consentita un’educazione alla destrutturazione dei modelli di genere nelle scuole primarie, oppure diventa troppo tardi. E a 16 anni “troia” è già un insulto usato da ragazza contro ragazza. Non c’è bisogno nemmeno del maschio».

C'è chi accusa Asia Argento di aver denunciato troppo tardi.«L'importante è che l'abbia fatto. Dovremmo ringraziare tutte le donne che in un modo o nell'altro raccontano. Non importa quando e come. Spero che Asia sia un esempio per altre ragazze più fragili che vivono situazioni come la sua. Sicuramente il prezzo che paga oggi non è quello che avrebbe pagato venti anni fa: puoi parlare quando sei forte, non quando sei debole. È la stessa accusa che si fa alle vittime di pedofilia che denunciano gli abusi subiti trent'anni dopo, ma si denuncia solo quando si è liberi da una situazione di sudditanza, non prima».

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E chi accusa queste attrici di aver goduto dei benefici di certe scelte?«Parte da un punto sbagliato. Infatti, viene spesso messo l'accento su quello che si ottiene accettando il ricatto sessuale. Poi, se raggiungi qualcosa, secondo questa stupida teoria, non puoi più dirti ricattata. Ma si dovrebbe partire da un altro presupposto: queste donne potevano discutere le condizioni del ricatto? Se desideravano con tutte loro stesse di fare le attrici, la colpa è di quel qualcuno che le ha in qualche modo costrette a saltare nel suo letto o è loro che avevano un sogno? Dobbiamo discutere la condizione a livello iniziale. Chiediamoci: poteva ottenerlo diversamente? Poi c'è chi è forte e riesce a dire di no, dipende da quanti anni hai, che esperienze hai, in che condizione psicologica sei».

Quelle che non accettano sono delle eroine?«Non farei distinzioni morali, perché dipende sempre dalla situazione. In alcuni casi, se non accetti non lavori più. Diventi una martire e avrai l’ammirazione di tutti quanti. Ma dell'ammirazione, in certi casi, che cosa te ne fai? Il punto è sempre la condizione iniziale. Perché dobbiamo noi donne accettare di scendere a compromessi o di dire addio ai  nostri sogni? Ha ragione Asia: viviamo in un Paese dove si cerca la ragione della molestia nella persona molestata, non nel molstatore».

Questo non è  problema solo di Hollywood, succede anche in altri luoghi di lavoro.**«**Perchè dalle donne ci si aspetta un’accondiscendenza che passa dal fare il caffè mentre tutti i colleghi pari grado non lo fanno e arriva fino al ricatto sessuale. Di mezzo c’è proprio l’idea che le donne siano un genere che deve accondiscendere. Se non lo fai sei scontrosa, pazza, frigida eccetera, eccetera».

Chi sono quelle donne che sui social commentano con tanta ferocia?**«**Sono persone che hanno introiettato l’idea che se ci sei stata è perché sotto sotto volevi. Sono donne che hanno ingoiato la cultura maschilista. In fondo, è una cultura che interessa tutti: è trasversale. La meraviglia del maschilismo è avere delle vittime complici del sistema che le rende vittime. Infatti, ironia della sorte, la persona più maschilista che conosco è di sesso femminile».

**Conosce casi simili a quello di Weinstein? ** «Decine. Sono cose che succedono ogni giorno, in certi ambienti in modo particolare. Ho assistito a un caso di molestia verbale molto significativo. Ero invitata in una trasmissione, un presentatore disse rivolgendosi all’altra ospite: "Dopo parlerai tu". E davanti a tutti aggiunse: "Prego la regia di inquadrare la strepitosa scollatura". Io mi lamentai che quella scena a cui avevo assistio era un caso di violenza. La ragazza non disse nulla per abitudine, perché siamo abituate ad abbozzare. "E vabbè, che esagerata che sei, fattela una risata", ti commentano . Il presentatore mi ha risposto: "Se non avesse voluto che le guardassimo non avrebbe messo la scollatura". Il problema non sono io che ti guardo come un oggetto, ma sei tu che ti esponi come una cosa. Ecco, questo è il meccanismo da sradicare».

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