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Dietro il marketing elettorale: due linee di frattura

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Il mercato elettorale ha iniziato a proiettare le varie strategie di marketing. I primi spot parlano di abolizione del canone RAI (PD), abolizione della legge Fornero e conservatorismo 2.0 (centro-destra), abolizione delle tasse universitarie (LeU), attacco alla burocrazia (the new Casta?) (5 Stelle).

Le principali forze politico-istituzionali del paese si stanno organizzando comunicativamente per lo più sui propri bacini sociali di riferimento e attorno ad almeno due “linee di frattura” che definiscono l’attuale quadro politico. Se dunque dalla superficie dei prodotti elettorali si prova a discendere nella materialità dei processi strutturali sui quali i primi si muovono, emergono (1) il taglio generazionale e (2) la scomposizione delle élite (e delle loro implicite linee di sviluppo) quali fattori di rilievo.

Sul primo nodo, oltre ai sondaggi che indicano una possibile astensione giovanile del 70%, è utile andare in profondità. Innanzitutto, l’Italia ha il tasso di natalità più basso al mondo (8.18 nati ogni 1000 abitanti), battuta solo da Giappone e Hong Kong. Ha uno dei tassi di emigrazione giovanile più alti d’Europa (centinaia di migliaia negli ultimi anni), unito a una disoccupazione giovanile che oscilla da anni tra il 30 e il 40%. Non stupisce dunque che le boutade elettorali siano rivolte a un pubblico tendenzialmente ‘anziano’, che guarda più tv che internet, che pensa alla o è in pensione, con forte insicurezza urbana percepita, e che soprattutto continua a recarsi alle urne. Solo i 5 stelle paiono mantenere un set propagandistico più tarato sull’attrarre quote di voto giovanile, e continuano ad essere il contenitore più ‘credibile’ per chi, come verificatosi in larga parte nel ciclo di elezioni dell’ultimo anno e mezzo a scala globale, va a votare soprattutto per presentare il proprio Fuck You! ai politici in carica. Ma proprio su questa linea di frattura generazionale emerge in controluce la dimensione dell’esclusione dalla cittadinanza di una popolazione migrante che, nell’evaporazione dei modelli storici di integrazione, non a caso è stata protagonista delle lotte dell’ultimo decennio, entro uno scenario da guerra civile in avvicinamento.

La seconda linea di frattura che stiamo qui considerando è una fotografia della dinamica di multi-polarizzazione in atto nel quadro politico. Esso infatti rispecchia la crescente disomogeneità dei riquadri attraverso i quali si è pensata la politica (e l’economia) in passato, siano essi nazionali o continentali. Le élite infatti guardano in maniera crescente alle istituzioni politiche come semplici leve per attrarre, inserirsi o giocare sui capitali globali, producendo una frantumazione per poli locali di sviluppo che muove su ritmiche finanziarie, l’esplosione e l’implosione di bolle, un urbanismo mobile e just in time. Il capitalismo forza-leghista dell’impresa e della rendita, il capitalismo statalista-cooperativo rappresentato dal PD, il capitalismo startupparo e digitale dei 5 stelle, profilano quindi tre blocchi socio-elettorali senza possibilità egemonica, che si muovono in una marea crescente di esclusione ed espulsioni, e ragionano oltre o al di sotto di un quadro nazionale unitario.

Le due direttrici qui appena tratteggiate, al di là del probabile esito di “ingovernabilità” che uscirà dalle urne del 4 marzo (analogamente a quanto accaduto alla Germania da tre mesi senza governo, venuta a cadere l’opzione renziana del Partito della Nazione come invece riuscito a Macron), continueranno a strutturare in modo invariante i prossimi anni. Nodi dunque proficui sui quali concentrarsi, ben al di là degli spot coi quali verremo bombardati nei prossimi due mesi. 

 

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