Una riflessione sul garantismo e la vicenda di Provenzano, simbolo del male di diritto
La miseria culturale (prima ancora che politica) del garantismo italiano è qualcosa di desolante. E pensare che, da un quarto di secolo, alcuni giuristi  lavorano egregiamente alla elaborazione di una vera e propria teoria generale delle garanzie nel processo e nel sistema della reclusione e dell`esecuzione delle pene. Una teoria generale puntualmente articolata e concretamente applicabile semmai qualcuno (singolo o istituzione) volesse applicarla. Un vero e proprio manuale d`uso che al presente pressoché nessuno sembra voler usare. Con la sola eccezione dei radicali e di pochissimi altri. Proprio ieri Marco Pannella ha annunciato un nuovo sciopero della sete a proposito dello stato della giustizia e, in particolare, delle condizioni di Bernardo Provenzano. La sorte di quest`uomo rappresenta una delle vicende che, in ragione della loro esemplarità, consentono di guardare il cuore profondo e la qualità dirimente della categoria stessa di garantismo. In altre parole: provateci voi a fare i garantisti nei confronti di chi è stato condannato a tre ergastoli per più stragi e per la morte di decine e decine di persone. Ma proprio per questa ragione la storia di Provenzano costituisce – paradigmaticamente – l`inveramento del garantismo o, meglio, la sua ardua incarnazione. Partiamo dal quadro clinico che, su richiesta del tribunale di sorveglianza di Milano, è stato redatto dai medici dell`ospedale San Paolo: Provenzano ‘presenta un grave stato di decadimento cognitivo, trascorre le giornate allettato alternando periodi di sonno a vigilanza. Raramente pronuncia parole di senso compiuto o compie atti elementari se stimolato. L`eloquio, quando presente, è assolutamente incomprensibile. Si ritiene incompatibile col regime carcerario’. Tra tre giorni sarà presa una decisione, ma già si è fatta una notevole confusione tra il giudizio di ‘incompatibilità’ con la detenzione, che apparirebbe valutazione inoppugnabile, e la richiesta di declassificazione dal regime di 41 bis. Quest`ultimo – va immediatamente chiarito – non rappresenta la giusta pena per i mafiosi. Costituisce, piuttosto, una delicatissima misura di prevenzione, come l`ha qualificata nel corso di un`audizione presso la commissione per la Tutela dei diritti umani del Senato, il procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti. Insomma, una misura da assumere caso per caso, sulla base dell`effettiva e attuale (attenzione: attuale) pericolosità del detenuto. E` un punto cruciale: il 41 bis persegue l`esclusivo fine di spezzare ogni legame tra detenuto e organizzazione criminale. Di conseguenza, quella misura non deve mirare ad alcuna ulteriore afflizione nei confronti di chi vi è sottoposto. D`altra parte, è un provvedimento che i magistrati impegnati nelle indagini sulle mafie reputano irrinunciabile: ma che – a sentire il consigliere Roberto Piscitello dell`Amministrazione penitenziaria – in più di una circostanza ha portato alcuni ad accusare gravi disturbi mentali. Ma torniamo a Provenzano. Nel marzo scorso, le tre procure distrettuali antimafia interessate (Palermo, Caltanissetta e Firenze) hanno giudicato l`ottantunenne capomafia ormai incapace di parlare e di partecipare a un dibattimento (tanto meno, dunque, di intrattenere rapporti con l`organizzazione criminale). E, tuttavia, il ministro della Giustizia ha ritenuto di doverlo sottoporre al 41 bis per altri due anni, in base al parere espresso dalla Direzione nazionale antimafia. A questo punto diventa decisiva la sentenza del tribunale di sorveglianza di Roma del prossimo 5 dicembre: e così potrà accadere che il regime del 41 bis venga revocato per gravi motivi di salute, e per conseguente assenza di pericolosità, mentre verrebbe confermata la pena detentiva. Pertanto, sarà solo il pericolo di morte che potrebbe consentire la revoca del 41 bis a un vecchio capomafia ormai incapace di intendere e di volere. O forse questo non accadrà e Provenzano finirà i suoi giorni lì dove si trova ora. Sarebbe un grave errore per il nostro stato di diritto. E, infatti, qui non si discute in alcun modo del feroce curriculum criminale di Provenzano e delle pene giustamente comminategli. Qui si discute esclusivamente di ciò che, di quel crudele criminale, tuttora sopravviva e, dunque, di ciò che quel crudele criminale tuttora meriti di scontare. Ed è a questo punto che la sorte che il sistema della giustizia dello stato democratico vorrà riservargli diventa un test-verità. Innanzitutto per un principio generale, che possiamo definire di filosofia morale: non dobbiamo assomigliare al nostro nemico. La superiorità giuridica dello stato di diritto consiste in questo: nel fatto di essere indipendente da chi lo combatte così nella elaborazione delle leggi come nell`esecuzione delle pene. Di conseguenza l`amministrazione della giustizia non si fa influenzare da chi rappresenta la negazione assoluta dei principi che ispirano il sistema democratico, non ne adotta i metodi e non ne assume – mai la ferocia. Se Provenzano venisse sottratto a una carcerazione incompatibile con il suo stato di salute, ciò costituirebbe una vittoria dello stato di diritto e il vecchio boss sarebbe restituito alla sua attuale e più autentica dimensione: quella di un ‘simbolo del male’ ormai completamente vuoto e ridotto a un consunto simulacro del passato.

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