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Gomorra – Luca, ‘sta campagna è tutta disordinata

gomorraNero

Nero

Rumori

Lampada abbronzante che lentamente carica

Piano, piano… la luce

Sottotitoli

Manicure

Chiacchiere

Fuoco. Fuoco. Fuoco. Un colpo alla nuca, uno in faccia, un altro alla gola

Tre cadaveri

Titoli mentre Rosario Miraggio canta appassionato

gomorraLa cifra sociale e politica di Gomorra è tutta nella scelta dei sottotitoli, inseriti sottopancia per tradurre un linguaggio incomprensibile, non solo nelle sue espressioni malavitose ma soprattutto per lo stretto dialetto napoletano: parole e inflessioni misteriose, cresciute, mutate e sfilacciate dall’uso a scopo intimidatorio e predatorio. Per me che resto ancora stupito quando sento un napoletano dire “faticare” per “lavorare”, mi è sembrata una scelta fondante e che traccia un solco: “hic sunt leones” o meglio, qui entriamo in territorio nemico, in una terra altra rispetto a quella che conosciamo. La cifra sonora è tutta nel rumore dei soldi: passano di mano, sbattuti su un tavolo, contati e ricontati, accartocciati, rubati, drogati, insanguinati. Il denaro è il sangue che scorre nelle vene di Scampia/Gomorra, è il potere della malavita, è la droga necessaria a comprare un attimo di paradiso e una vita di inferno, è il motivo per cui si uccide anche se tutti coloro che lo maneggiano vivono vite miserevoli, ascoltando brutta musica, indossando pessimi vestiti, guidando auto di seconda scelta, vivendo in case diroccate, comprando oggetti di pessimo gusto. È un sangue necessario a vivere ma che non ti dà niente di più della mera sussistenza, almeno a coloro che noi riusciamo a vedere. L’altro elemento cardine del film è la scelta di Garrone di realizzare stilisticamente una sorta di documentario, con la cinepresa che letteralmente segue ed insegue i personaggi lungo il loro percorso nelle strade strette e misteriose, negli angoli bui e le case popolari dove vivono persone disarcionate dalla vita, in residui post industriali abbandonati dove nascondere il male e tirarlo fuori alla bisogna. Come il palazzo dove Ciro e Franco improvvisano Scarface (anche il gioco è violenza o una sua imitazione abbastanza realistica), o il distributore dove Servillo e Paternoster verificano la possibilità di scaricare i rifiuti. I nostri occhi entrano in questo mondo e perdiamo la verginità di fronte ad una ferocia che è profondamente diversa da quella di un maestro della violenza urbana come Scorsese: tanto questa è artefatta e stilizzata, tanto quella di Garrone è immediata, diretta, cruda. Violenta verrebbe da dire. E poi: il campo lungo ambientale che introduce “il palco” dove salgono in scena, vivono, uccidono e muoiono i personaggi; i continui fuori fuoco, come se la cinepresa non fosse stata preparata ad accogliere gli attimi e la violenza, anche verbale, che ci travolge e ci sconvolge; addirittura siamo quasi investiti da automobili finite fuoristrada a causa di un attentato, spari a bruciapelo ci rimbombano in testa, sentiamo la puzza di morte come quella del pesce fritto dai cinesi in una cucina improvvisata. Dopo questo film, scrivevo, non c’è più verginità di fronte a tutto questo e alle implicazioni che comporta: se leggendo i sottotitoli che ci traducono la lingua “straniera” di Scampia potremmo essere tentati di esclamare “questa non è Italia, questo non è il mio mondo, è qualcosa di lontano”, ci pensano le pesche puzzolenti sbocciate nella campagna campana – dove il terreno “è tutto disordinato” ed è seminato con i rifiuti – a riportarci all’attualità dei nostri quotidiani; c’è Servillo, con il suo monologo, a ricordarci che lui è una delle due facce sulla moneta della stessa ipocrisia che alimenta il mondo dell’economia (“con lo scarico dei rifiuti illeciti, quanti operai ho salvato dal licenziamento facendo risparmiare i loro padroni?”); ci sono i flash glamour del Festival di Venezia, con Scarlett Johansson che indossa il vestito cucito sul sudore di poveri sfruttati ed il cui sarto ora guida un camion nella notte e si lava nei bagni oscuri e puzzolenti di un autogrill in giro per un’Italia che sembra così difficile da salvare dopo aver visto questo film e senza pensare che sia una Gomorra destinata a finire seppellita sotto lo zolfo e il fuoco.

americanbeauty***** A volte c’è così tanta bellezza nel mondo che non riesco ad accettarla…

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