‘Visioni’ metamorfiche nel Viaggiatore di Calvino

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Evidenziando il connubio tra il motivo della corporeità e l’atto della lettura nel romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, il contributo offre un’indagine parallela della metamorfosi del corpo dei personaggi femminili, presenti sia nei diversi incipit di romanzo che nel corso dell’avventura del Lettore, e dei continui mutamenti a cui è sottoposto il libro oggetto di inseguimento. La lettura del metaromanzo calviniano secondo questa prospettiva non trascura un’altra categoria peculiare, strettamente connessa al tema del corpo fisico e della corporea materialità di carta e inchiostro che pervade le pagine del Viaggiatore: la dimensione visuale e la centralità della vista nello sviluppo diegetico.

  Drawing attention to the union between the theme of corporeity and the act of reading in the Italo Calvino novel Se una notte d’inverno un viaggiatore, the essay offers a close reading of female characters’ body metamorphosis, both in the different incipit of novels and in the Reader’s narrative, and of the book chased and constantly changing. The reading of the metafiction by this perspective does not overlook another peculiar category, closely connected to the theme of physical body and of paper and ink materiality invading the pages of Viaggiatore: the visual aspect and the centrality of the view in the diegetic development.

 

La dimensione visuale pervade gli spazi semantici di Se una notte d’inverno un viaggiatore molto più di quanto finora sia stato messo in luce, imponendosi sotterraneamente come elemento ‘continuativo’ nelle dinamiche narrative di questo libro dato alle stampe nel ’79 da uno scrittore sempre prepotentemente visivo e visionario come Calvino.[1]

copertina di Se una notte d’inverno un viaggiatore

I precedenti testi a cornice, Il castello dei destini incrociati e Le città invisibili, risultavano già apertamente giocati dallo scrittore sul registro della visualità attraverso la presenza iconografica dei tarocchi, assunti a tasselli di racconto, e attraverso le descrizioni delle surreali città ‘viste’ e visitate da Marco Polo; in entrambi i casi la componente legata alla vista si saldava alla produzione stessa della narrazione, esplicitandosi come elemento centrale e determinante tanto nell’uno quanto nell’altro romanzo. Di certo meno ‘evidente’ nel terzo grande libro combinatorio, la visualità occupa in realtà nel Viaggiatore il cuore stesso del testo, coincidente con quella passione per la lettura che passa appunto integralmente attraverso la vista. È tramite l’occhio che viene soddisfatto il desiderio del lettore, con un’attività tutta visiva, oltre che immaginativa, che gli procura piacere,[2] e che in modo deliberato è insistentemente associata nell’economia complessiva del romanzo al vagheggiamento e inseguimento della donna. Pure il desiderio del corpo femminile passa del resto primariamente attraverso la vista (nonché anch’esso attraverso l’immaginazione), in un interscambio-sovrapposizione tra l’inseguimento del libro che sfugge e della lei che sfugge che emerge chiaramente come uno dei tratti caratterizzanti del metaromanzo calviniano.

Il libro che sfugge è in Se una notte d’inverno di fatto un libro che muta di continuo, un libro che non è mai quello che era prima e che ci si aspettava di trovare percorrendone con la vista il corpo di carta e inchiostro, fisicamente rappresentato con dovizia di particolari in più luoghi del testo. L’occhio che legge è così messo costantemente dinanzi ad una metamorfosi dell’oggetto del desiderio, la quale diventa spinta di tutta la dinamica diegetica, congiuntamente alla ripetuta e volutamente speculare metamorfosi del personaggio femminile presente nella cornice narrativa così come negli incipit di romanzo in essa incastonati.[3] In quest’ottica, il Viaggiatore si presta senz’altro ad una lettura in cui il vedere e il mutare intrecciano la propria presenza semantica con quella del libro e della donna, ambedue parimenti fisiche, corporee, in linea con la centralità del desiderio nell’impianto narrativo del testo.

La vista, la metamorfosi, la lettura e la figura femminile, dunque. Sin dalle pagine del I capitolo lo stesso autore viene del resto da subito presentato con caratteristiche ‘metamorfiche’ affidate alla sua scrittura («si sa che è un autore che cambia molto da libro a libro. E proprio in questi cambiamenti si riconosce che è lui»),[4] mentre l’inizio del primo romanzo che si offre al Lettore, quello che porta il titolo Se una notte d’inverno un viaggiatore, ruota significativamente intorno all’area della vista, non solo attraverso la surreale rappresentazione del fumo della stazione che offusca la lettura del libro («Il romanzo comincia in una stazione ferroviaria, sbuffa una locomotiva, uno sfiatare di stantuffo copre l’apertura del capitolo, una nuvola di fumo copre parte del primo capoverso»),[5] ma soprattutto con l’inizio dell’azione narrativa:

C’è qualcuno che sta guardando attraverso i vetri appannati, apre la porta a vetri del bar, tutto è nebbioso, anche dentro, come vista da occhi di miope, oppure occhi irritati da granelli di carbone.[6]

Questa centralità della dimensione visiva viene da subito nuovamente ricondotta nel testo alla pagina scritta («Sono le pagine del libro ad essere appannate come i vetri d’un vecchio treno, è sulle frasi che si posa la nuvola di fumo»),[7] nonché, con l’articolarsi della narrazione, all’apparizione della figura femminile:

[la] vedo solo di spalle, una martingala che pende da un soprabito lungo col bordo di pelliccia e il bavero alto, un filo di fumo che sale dalle dita attorno al gambo d’un calice. […] ancora adesso per me che la vedo per la prima volta può dirsi una donna attraente; ma se immagino di guardarla con gli occhi degli altri avventori del bar ecco che su di lei si deposita una specie di stanchezza […]. Insomma c’è un velo d’altre immagini che si deposita sulla sua immagine e la rende sfocata, un peso di ricordi che m’impediscono di vederla come una persona vista per la prima volta, ricordi altrui che restano sospesi come il fumo sotto le lampade.[8]

Come già con la pagina scritta, il fumo che pervade questo primo romanzo impedisce al protagonista di vedere con chiarezza anche l’immagine della donna, ostacolando l’esercizio della vista in un incipit al contrario centrato sull’azione del guardare. Il cuore narrativo del breve testo è d’altronde significativamente rappresentato dall’arrivo nel bar della stazione del dottor Marne, ex marito di Armida, la donna già presente all’interno del locale; e quello tra di loro è appunto un incontro che passa dagli occhi:

Il dottore entra e fa un saluto circolare; il suo sguardo non si ferma sulla moglie ma certo ha registrato che c’è un uomo che parla con lei. […] Ecco che io che dovevo passare inosservato sono stato scrutato, fotografato da occhi cui non posso illudermi di essere sfuggito, occhi che non dimenticano nulla e nessuno che si riferisca all’oggetto della gelosia e del dolore. Bastano quegli occhi un po’ pesanti e un po’ acquosi a farmi capire che il dramma che c’è stato tra loro non è ancora finito: lui continua a venire ogni sera in questo caffè per vederla, per farsi riaprire la vecchia ferita, forse per sapere chi è che l’accompagna a casa stasera.[9]

Attraverso gli occhi passa il dramma del desiderio interdetto, del desiderio del corpo femminile che si nega al dottor Marne, in una dinamica di fatto solo accennata all’interno di questo attacco romanzesco. È infatti per gradi che il motivo del corpo compare nel Viaggiatore; in quest’ottica di lettura è come se il primo incipit funga soprattutto a confermare la centralità della vista (qui ancora fortemente annebbiata), nonché l’interscambiabilità del libro e della donna, nell’economia complessiva del testo di Calvino.

Al desiderio frustrato (in modo prevedibile) del dottor Marne corrisponde del resto in stretta successione il desiderio frustrato (in modo imprevedibile) del Lettore per la brusca interruzione del libro preso in lettura, che lo avvia però verso l’incontro con la Lettrice, personaggio femminile centrale del romanzo, e la cui comparsa determina la piena esplicitazione della fisicità all’interno del testo. Anche la conoscenza della Lettrice avviene all’insegna della sottolineatura della dimensione visiva, e parte altresì proprio dagli occhi la descrizione fisica di lei («Occhi vasti e veloci, carnagione di buon tono e buon pigmento, capelli d’onda ricca e vaporosa. Ecco dunque la Lettrice fa il suo felice ingresso nel tuo campo visivo»).[10] È come se proprio l’apparizione di Ludmilla nella vicenda narrata permettesse alla componente corporea di emergere, quasi per una naturale contiguità, la quale, secondo una dinamica già vista, ingloba da subito (anzi: primariamente) l’oggetto libro, sostituto del corpo femminile da penetrare per attingere il godimento desiderato:

Questo volume ha le pagine intonse: un primo ostacolo che si contrappone alla tua impazienza. Munito d’un buon tagliacarte t’accingi a penetrare i suoi segreti. Con una decisa sciabolata ti fai largo tra il frontespizio e l’inizio del primo capitolo.[11]

Il romanzo ‘penetrato’ con un simbolo fallico quale il tagliacarte è per altro un romanzo «concreto, corposo», portatore cioè di caratteristiche pienamente rispondenti al desiderio di lettura espresso dalla Lettrice poche pagine prima; ed è altresì il romanzo in cui cominciano a comparire chiari accenni a metamorfosi e confusioni di identità. Va precisato da subito come anche in questo secondo cammeo non venga affatto meno la dimensione visiva legata alla donna, allorché l’io narrante si accorge che un altro personaggio, Ponko, ha con sé un misterioso ritratto di donna, una fotografia che gli fa immaginare futuri legami tra Brigd, l’unica figura femminile fino a quel punto nominata, e lo stesso Ponko. Ed è da questa immagine incorniciata di donna, la quale in realtà non è affatto Brigd ma una certa Zwida, che comincerà la fisicissima colluttazione tra i due personaggi maschili. Ma al di là della dinamica narrativa spicciola di questo secondo incipit di romanzo, quello che è interessante notare è piuttosto il fatto che nelle logiche diegetiche del testo di Calvino la componente visiva continui ad esercitare il proprio ruolo determinante pure nel racconto della corporeità, facendosi allo stesso tempo preludio, in un arricchimento della tessitura semantica del libro, della suggestione metamorfica del protagonista. È infatti proprio dopo la comparsa nella storia dell’intrigante ritratto di donna che il personaggio che dice io comincia ad avvertire una sorta di confusione tra se stesso e Ponko («un estraneo stava prendendo il mio posto, diventava me»),[12] confusione apertamente riconosciuta come «trasformazione» proprio in occasione dell’incontro dei loro corpi nella lotta:

Mentre eravamo avvinghiati ebbi la sensazione che in quella lotta avvenisse la trasformazione, e quando ci fossimo rialzati lui sarebbe stato me e io lui, […] anzi in quel momento […] era Brigd che volevo distruggere perché non cadesse nelle mani di Ponko, Brigd di cui non avevo mai pensato d’essere innamorato […], ma con cui una volta, una volta sola, eravamo rotolati uno addosso all’altra quasi come ora con Ponko.[13]

Il contatto fisico estremo lascia spazio all’idea di una fusione dei corpi in grado di trasformare un corpo in un altro, un individuo in un altro, quasi senza barriere di genere, come lascia intravedere l’accennata sovrapposizione tra Ponko e Brigd. Si tratta di un’immagine di voluta con-fusione pienamente esplicitata peraltro subito dopo, allorché l’io narrante mette in relazione il proprio rapporto con i corpi dell’uno e dell’altra, nonché il proprio rapporto immaginario col corpo della sconosciuta Zwida:

ciò che io sto provando mentre schiaccio il petto di Ponko sotto il mio petto o mentre resisto alla torsione d’un braccio dietro la schiena non è […] ciò che voglio affermare, vale a dire il possesso amoroso di Brigd, della pienezza soda di quella carne di ragazza, così diversa dalla compattezza ossuta di Ponko, e anche il possesso amoroso di Zwida, della morbidezza struggente che immagino in Zwida, il possesso d’una Brigd che già sento perduta e d’una Zwida che ha solo la consistenza incorporea d’una fotografia sottovetro. Cerco inutilmente di stringere nel groviglio di membra maschili contrapposte e identiche, quei fantasmi femminili che svaniscono nella loro diversità irraggiungibile.[14]

L’interscambiabilità dei corpi e delle identità finisce però presto per polarizzarsi sul desiderio della donna, per coincidere col desiderio fisico di lei, fissando chiaramente l’idea della ricerca di una nuova figura che fosse un po’ Brigd e un po’ Zwida senza essere nessuna delle due («Mi dirigevo verso Brigd pensando a Zwida: quella che cercavo era una figura bifronte, una Brigd-Zwida»).

Il motivo metamorfico viene così ad essere inequivocabilmente associato all’inseguimento del femminile e, in senso più ampio, questo scorcio di racconto assume per molti versi un valore paradigmatico rispetto alla ricerca di un libro che cambia di continuo posta da Calvino al centro del suo romanzo. L’io che lotta con Ponko anela a quello che non ha, sia essa una Brigd inverosimilmente sottrattagli da Ponko, o una Zwida che non ha mai conosciuto (o magari anche la signora Marne dell’incipit precedente, non più avvicinabile da parte del suo ex marito). E le desidera entrambe, così come il Lettore non esiterà a perseguire ad ogni costo la lettura dei libri più diversi desiderandoli in qualche modo tutti, anche a dispetto degli estenuanti mutamenti davanti a cui le pagine stampate lo mettono ripetutamente. Attraverso la lettura il lettore insegue il possesso del racconto, un possesso intellettuale e immaginativo, che però il gioco di intrecci semantici messo su da Calvino impone che debba essere anche fisico, in una costante assimilazione della lettura al rapporto col corpo femminile (e in una ricerca di collegamento tra l’immaginazione e «la verità del mondo»).[15]

Ad inizio del capitolo III il libro diviene così idealmente un corpo di donna, si trasforma in un corpo di donna, con la ripresa della metafora del tagliacarte che penetra tra le pagine intonse;[16] il Lettore insegue il libro dappertutto e col libro insegue Ludmilla che è ormai anche Zwida e la signora Marne:

non sai più distinguere il tuo interesse per il romanzo cimmerio o quello per la Lettrice del romanzo. Ora poi le reazioni […] creano intorno alla Lettrice una curiosità apprensiva non dissimile a quella che ti lega a Zwida Ozkart, nel romanzo di cui stai cercando il seguito, e anche alla signora Marne nel romanzo che avevi cominciato a leggere il giorno prima e che hai temporaneamente messo da parte, ed eccoti lanciato all’inseguimento di queste ombre tutte insieme, quelle dell’immaginazione e quelle della vita.[17]

Dopo aver superato all’interno del secondo incipit i confini tra un personaggio femminile e l’altro (la corpacciuta Brigd e l’evanescente Zwida della foto), tra una fisicità che c’è e una fisicità che non c’è, Calvino spinge questo inseguimento del corpo femminile lungo i crinali della interscambiabilità tra i personaggi di romanzi diversi (Zwida e la signora Marne) e la Lettrice che sta fuori da quei romanzi e che anzi li legge di pari passo col Lettore. Corpi diversi che divengono tutti parimenti «ombre» se non posseduti, suggestioni solo visive, proiezioni intangibili, di fatto idealmente conseguenti all’interruzione del piacere legato al libro-corpo-femminile su cui si era aperto il III capitolo. Quel piacere negato, malgrado l’azione del tagliacarte, era significativamente dovuto ad un «abbacinamento della […] vista» (la «macchia di luce» della pagina bianca), ad una impossibilità visiva che viene posta ancora una volta in stretta relazione con la corporeità interdetta e, come in linea con ciò, all’interno del successivo romanzo letto dal Lettore, il misterioso diario dell’io narrante di turno comincia proprio con la visione di un pezzo di corpo, un pezzo soltanto («Lunedì. Oggi ho visto una mano sporgersi da una finestra della prigione, verso il mare»).[18] L’approssimazione al corpo ricomincia dalla vista, e anche in questo terzo incipit il protagonista si trova ad ipotizzare possibili approcci con una figura femminile, ancora di nome Zwida. Nel precedente attacco romanzesco Zwida era una donna senza corpo, un’immagine riprodotta; qui è una donna in carne ed ossa intenta a riprodurre immagini dipinte. Zwida si è trasformata in un’altra Zwida, creando turbamento nell’io narrante («Non sono stato contento d’averla vista»),[19] il quale tuttavia finisce a poco a poco per interessarsi agli oggetti dei suoi disegni: una conchiglia, un riccio e quindi un’ancora che lui stesso si offre di cercare per offrirgliela a modello. La centralità della fisicità sembra rimanere sulla sfondo, ma di fatto non viene meno l’attenzione della narrazione al motivo del corpo, inaspettatamente recuperato proprio attraverso la ricerca dell’ancora:

La ricerca dell’àncora in cui sono impegnato pare indicarmi la via d’un’evasione, forse d’una metamorfosi, d’una resurrezione. Con un brivido allontano il pensiero che la prigione sia il mio corpo mortale e l’evasione che m’attende sia il distacco dell’anima, l’inizio d’una vita ultraterrena.[20]

Il protagonista di questo terzo incipit non riesce a concepire l’idea di una vita senza corpo («con un brivido allontano il pensiero»), laddove invece guarda all’immagine della «metamorfosi» come nuova vita, come uscita dalla prigione, la stessa prigione che in apertura del frammento imprigionava il corpo da cui usciva solo una mano.[21] In tal senso, così come il precedente lacerto di romanzo, anche questo offre, in riferimento alla corporeità, schegge di significato utili ad illuminare il libro nel suo complesso. Ad inizio del Viaggiatore si diceva infatti come il Lettore avesse rinunciato da tempo ad investire nella vita, preferendole la sicurezza della pagina scritta, chiudendosi cioè volontariamente in una gabbia fatta di carta e inchiostro. È solo inseguendo il testo che si trasforma di continuo, allora, che egli riesce ad evadere da quella prigionia autoinflittasi, in una sorta di ritorno alla vita che, insieme al libro, gli fa inseguire pure la donna. La continua metamorfosi del libro è dunque propedeutica alla resurrezione della corporeità reale e non metaforica, rappresentata nel testo di Calvino da un’immagine del femminile che si trasforma anch’essa di continuo. Negli attacchi di romanzo si succedono a ripetizione figure di donne, dietro le quali si nasconde sempre un po’ Ludmilla, così come non è difficile rintracciare l’ombra distorta di lei negli altri personaggi femminili che compaiono nella cornice.

Compiuto artefice delle metamorfosi di Ludmilla è intanto il falsario Ermes Marana, innamorato di lei e che ne lascia trasparire l’identità dietro le molteplici contraffazioni affidate alle sue farneticanti lettere. Ludmilla si trasforma così nella Sultana affamata di libri e sospettata di cospirazione (lo intuisce lo stesso Lettore: «Non puoi fare a meno di dare alla lettrice senza volto evocata da Marana le sembianze della lettrice che conosci, già vedi Ludmilla»),[22] ed è sempre lei che assume le fattezze della bagnante dell’Oceano Indiano, della lettrice sulla terrazza dello chalet elvetico, della giovane ostaggio di un dirottamento in un aeroporto africano, della cavia di un test di lettura in un laboratorio newyorkese. E il Lettore la pedina da un’identità all’altra, così come non rinuncia al pedinamento dei libri interrotti:

Col fiato sospeso hai seguito da una lettera all’altra le trasformazioni della lettrice, come se si trattasse sempre della stessa persona… Ma anche se fossero molte persone, a tutte tu attribuisci l’aspetto di Ludmilla.[23]

La casa di lei si fa emblematicamente luogo in cui il Lettore prende coscienza della possibile metamorfosi dei libri, attraverso l’incontro con Irnerio che trasforma i libri in opere d’arte e la scoperta dello sgabuzzino stracolmo della false traduzioni di Marana per mezzo delle quali un testo viene ridotto ad altro da quello che era in origine. Ma l’incontro ravvicinato con la trasformazione di ciò che si pensava non potesse mutare (il libro, «cosa solida, che sta lì, ben definita»)[24] è appunto per il Lettore occasione di ritorno alla vita, ed è infatti in quella stessa casa che egli si congiunge per la prima volta al corpo di Ludmilla, arrivando con chiarezza a cogliere il senso della propria quête:

L’inseguimento del libro interrotto che ti comunicava un’eccitazione speciale in quanto lo compivi insieme alla Lettrice, ti si rivela la stessa cosa dell’inseguire lei che ti sfugge in un moltiplicarsi di misteri, d’inganni, di travestimenti.[25]

Il possesso erotico di Ludmilla non segna tuttavia un definitivo punto d’approdo, poiché le dinamiche di mutamento messe in moto nel romanzo continuano ad agire in più stralci di esso appartenenti tanto ai brani di romanzi interrotti quanto al racconto dell’intricata avventura del Lettore.

A partire dalla metamorfosi di Ludmilla nelle disparate figure femminili descritte da Marana nelle sue lettere, la spinta alla trasformazione che muove la narrazione del Viaggiatore assume in più circostanze i contorni della moltiplicazione dell’uno in tanti (la molteplicità sarà uno dei valori sanciti dal Calvino Norton Lecturer),[26] quasi a lasciar intravedere la prospettiva di una possibile riunificazione del molteplice in luogo di un processo di compiuta e definitiva trasformazione in ciò che è altro da sé.[27] Le disparate identità del libro e della donna sembrano infatti piuttosto coesistere che non sostituirsi l’una all’altra, secondo un procedimento ancora una volta paradigmaticamente suggerito all’interno di un altro incipit romanzesco in cui si imbatte il Lettore, ovvero quello in cui si fa riferimento ai caleidoscopi e alle macchine catoptriche, in grado, gli uni, di mutare un’immagine col mutare dell’angolazione visuale, e di moltiplicare un’immagine attraverso un sistema di specchi, le altre. L’alterazione dell’immagine assunta ad emblema di un’instabilità delle forme ricollega per altro il motivo della visualità a quello della metamorfosi, in una nuova saldatura di queste aree semantiche fortemente interagenti con la corporeità, qui moltiplicata per imago in modo artificioso, così come artificiose erano le mistificazioni di Marana. In questo settimo stralcio di romanzo tale moltiplicazione diviene per altro fusione e trasformazione ottica di due corpi in uno proprio in riferimento ai personaggi femminili di turno, facendo sì che l’io che narra non riesca più a distinguere in questa nuova forma le due donne originarie:

Un occhio e un sopracciglio d’Elfrida, una gamba negli stivali aderenti, l’angolo della sua bocca dalle labbra sottili e dai denti troppo bianchi, una mano inanellata che stringe un revolver si ripetono ingigantiti dagli specchi e tra questi frammenti stravolti della sua figura si interpongono scorci della pelle di Lorna come paesaggi di carne. Già non so più distinguere ciò che è dell’una e ciò che è dell’altra.[28]

Perso nella sterminata molteplicità delle possibilità che si aprono per un romanziere, anche Silas Flannery, personaggio-scrittore al centro di una fondamentale e fondativa sezione del libro, cerca in fondo una reductio ad unum che lo metta al riparo dalla aleatorietà, una verità univoca che egli sembra significativamente individuare proprio nell’immagine della donna che legge («Forse il vero libro è questo diario in cui cerco d’annotare l’immagine della donna sulla sdraio nelle varie ore del giorno, così come la vado osservando col cambiare della luce»);[29] fonte primaria di ispirazione, perché donna e perché lettrice di un libro (nonché perché oggetto dello sguardo), la figura femminile sulla sdraio è per lui lontana e inarrivabile, tranne che per il tramite di un simbolico collegamento tra lei e lui, tra il libro che viene letto e il libro che deve essere scritto:

Tra i suoi occhi e la pagina vola una farfalla bianca. […] Il mondo non scritto ha il suo culmine in quella farfalla. […] Ecco la farfalla bianca ha attraversato tutta la valle e dal libro della lettrice è volata a posarsi sul foglio che sto scrivendo.[30]

L’avvicinamento tra la donna e l’artefice dei libri può avvenire solo attraverso la farfalla bianca che passa tra gli occhi e la pagina, emblema e «culmine» del mondo reale, nonché della calviniana leggerezza, ma allo stesso tempo anche simbolo per antonomasia della metamorfosi come elemento vitale.

Le trasformazioni moltiplicative sembrano nella parte finale del romanzo travolgere il Lettore, affannato a compulsare libri sempre diversi e a fronteggiare donne tutte simili l’una all’altra ma sempre differenti: Corinna, Gertrude, Ingrid, Alfonsina, Lotaria, Sheila, mutevoli contraltari di Ludmilla con le quali il Lettore non riesce però a portare a termine il rapporto erotico:

È ancora la tua storia, questa, Lettore? L’itinerario che hai intrapreso per amore di Ludmilla t’ha portato così lontano da lei che l’hai persa di vista: se lei non ti guida più, non ti resta che affidarti alla sua immagine specularmente opposta, Lotaria…[31]

Se il Lettore perde di ‘vista’ la figura femminile desiderata, nulla ha più senso.[32] La frenesia delle metamorfosi dei libri e delle donne diventa sterile e fine a se stessa, elemento ripetitivo e non stimolo di vita, tanto da spingere il personaggio a cercare la ricomposizione del diverso e del frammentato all’interno di una rassicurante biblioteca. Lì tutti i titoli dei differenti incipit si trasformano, in un’ultima metamorfosi, in un unico incipit,[33] suscitando nel protagonista la volontà di sposare Ludmilla. La chiusa sulle poche righe che compongono l’ultima pagina restituisce l’idea di una riduzione della varietà metamorfica in una appagante unità ritrovata del libro e della donna,[34] mentre il desiderio di poter finalmente portare a termine la lettura, racchiuso idealmente nel participio passato «letto», si confonde, nella conclusione, con quel «letto» matrimoniale che ospita lei e lui, avvolgendoli, ormai senza stranianti trasformazioni, in una lettura di pagine e di corpi non più interdetta.

 


1 Sulla dimensione visuale nella scrittura di Calvino cfr. il sempre fondamentale M. Belpoliti, L’occhio di Calvino, Torino, Einaudi, 1996; riunisce contributi sull’argomento anche il volume L. Waage Petersen, B. Grundtvig (a cura di), ‘Dipingere con parole, scrivere con immagini’, Nuova Prosa, 42, 2005. Su aspetti specifici della predisposizione calviniana al visivo cfr. anche M. Rizzarelli, Sguardi dall’opaco. Saggi su Calvino e la visibilità, Acireale-Roma, Bonanno, 2008.

2 Immaginazione e visualità sono del resto direttamente ricondotti da Calvino all’attività della lettura in uno dei passaggi iniziali di Visibilità (cfr. I. Calvino, Lezioni americane, ora in Id., Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1995).

3 Già le precedenti stagioni narrative di Calvino avevano variamente corteggiato il motivo metamorfico: cfr. R. Capozzi, ‘Leggerezza, scrittura e metamorfosi nelle Cosmicomiche vecchie e nuove’, Rivista di studi italiani, 2, 2003; C. Mongiat Farina, ‘I nostri antenati postumani. Storie di formazione e metamorfosi nella trilogia di Calvino’, Strumenti critici, 1, 2014. A carattere più generale il più datato F. Pierangeli, Italo Calvino: la metamorfosi e l’idea del nulla, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1997.

4 I. Calvino, ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’, ora in Id., Romanzi e racconti, II, a cura di M. Barenghi e B. Falcetto, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1994, p. 619.

5 Ivi, p. 620.

6 Ibidem.

7 Ibidem.

8 Ivi, pp. 627-629.

9 Ivi, pp. 630-631.

10 Ivi, p. 638.

11 Ivi, p. 641.

12 Ivi, p. 645.

13 Ivi, p. 646.

14 Ivi, p. 647.

15 A questo proposito il Calvino di Visibilità chiama in causa lo Starobinski dell’Impero dell’immaginario (cfr. La relation critique, Paris, Gallimard, 1970) che evoca Jung e i suoi archetipi a proposito «dell’idea di immaginazione come partecipazione alle verità del mondo» (cfr. I. Calvino, Lezioni americane, p. 703).

16 Significativamente questo piacere legato al libro-corpo-femminile viene interrotto da «un abbacinamento della […] vista», dalla pagina bianca o, meglio, da «una macchia di luce» (cfr. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, pp. 650-651).

17 Ivi, pp. 658-659.

18 Ivi, p. 663.

19 Ivi, p. 664.

20 Ivi, p. 673.

21 Interessante notare come Levar l’ancora fosse uno dei titoli pensati da Calvino per il suo Viaggiatore (cfr. ‘Note e notizie sui testi’, in I. Calvino, Romanzi e racconti, II, p. 1386.

22 I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, p. 733.

23 Ivi, pp. 735-736.

24 Ivi, p. 641.

25 Ivi, p. 759.

26 Sul motivo della molteplicità nel Viaggiatore in riferimento alla tentazione calviniana per la dimensione visiva, cfr. I. Splendorini, ‘Apocryphie, tautologie et vertige de la multiplication. Se una notte d’inverno un viaggiatore et l’oeuvre de Giulio Paolini’, Italies, 16, 2012. Sulla contiguità tra Se una notte d’inverno un viaggiatore e le Lezioni americane cfr. M. Barenghi, ‘Identità di un «Norton lecturer»’, in Id., Italo Calvino, le linee e i margini, Bologna, il Mulino, 2007.

27 Nella stessa lezione sulla Visibilità, del resto, Calvino riflette su come «attingere a questo golfo della molteplicità potenziale sia indispensabile per ogni forma di conoscenza» (I. Calvino, Lezioni americane, pp. 706-707).

28 I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, p. 776.

29 Ivi, p. 789.

30 Ivi, pp. 780 e 791.

31 Ivi, p. 825.

32 Non è un caso che, nell’ultimo dei frammenti romanzeschi, l’incubo di un mondo cancellato venga dissipato dallo scinitillio dello sguardo di una figura femminile che, in una frazione d’attimo, determina l’improvvisa resurrezione di tutto il contesto; cfr. per questo particolare M. Barenghi, Calvino, Bologna, Il Mulino, 2009, p. 96.

33 Così la sequenza trasformata in un nuovo incipit: «Se una notte d’inverno un viaggiatore, fuori dall’abitato di Malbork, sporgendosi dalla costa scoscesa senza temere il vento e la vertigine, guarda in basso dove l’ombra s’addensa in una rete di linee che s’allacciano, in una rete di linee che s’intersecano sul tappeto di foglie illuminate dalla luna intorno a una fossa vuota, – Quale storia laggiù attende la fine? – chiede, ansioso d’ascoltare il racconto» (I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, p. 868).

34 «Ora siete marito e moglie, Lettore e Lettrice. Un grande letto matrimoniale accoglie le vostre letture parallele. Ludmilla chiude il suo libro, spegne la luce, abbandona il capo sul guanciale, dice: – Spegni anche tu. Non sei stanco di leggere? – E tu: – Ancora un momento. Sto per finire Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino» (ivi, p. 870).