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Siccità e caccia senza freni, è crisi per il Delta del Po

Siccità e caccia senza freni, è crisi per il Delta del Po
L’acqua del mare risale verso l’interno, la zona umida sta soffocando. In pericolo canneti, boschi costieri, canali, lagune, un’infinità di uccelli acquatici
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Può essere una nemica terribile, l'acqua. E nell'epoca della siccità alternata alle alluvioni, i territori più fragili come il Delta del Po rischiano grosso. Canneti, boschi costieri, canali, lagune. Un'infinità di uccelli acquatici. Il silenzio rotto solo dal lento scorrere delle acque. Il Delta del Po è un luogo meraviglioso: ma i problemi di questo territorio tra Veneto ed Emilia-Romagna, spaccato in due parchi regionali che si guardano in cagnesco, non aspettano.

Il livello del suolo, già normalmente inferiore al livello del mare, continua inesorabilmente ad abbassarsi. E questo in prospettiva, con l'innalzamento degli oceani, è un problema serio per gli argini. «Il solo costo dell'energia elettrica per il funzionamento dei 500 impianti idrovori operanti nell'area - ricorda l'ingegnere Alfredo Mantovani, direttore generale dell'Associazione nazionale bonifiche - ha raggiunto quasi i 20 milioni di euro annui».

La bassa portata del Po comporta un effetto idraulico ben noto: per via di una spinta troppo debole delle acque dolci, l'acqua del mare risale verso l'interno. Le falde ne risentono; i pozzi tirano su sempre più spesso acqua salmastra e inutilizzabile. E questo è un secondo grande problema. «Penso a come garantire la sopravvivenza dei sistemi di acqua dolce per rilanciare la risicoltura attraverso idrovore alimentate con fonti rinnovabili, depositi di acqua e raccolta d'acque piovane», è la proposta di Carlo Magnani, dell'università IUAV di Venezia.

Qui dove il grande fiume incontra il mare, la gente è abituata da sempre ai capricci della natura. Se un tempo il pericolo era l'eccesso di acqua che veniva dalla pianura, ora a spaventare è la scarsità degli afflussi. «Il cambiamento climatico nel bacino del Po ci riserva in futuro un aumento delle temperature, prolungate ondate di calore, piogge intense e violente su piccole aree, periodi di siccità prolungate», avverte Ezio Todini, presidente della Società Idrologica Italiana.

La disperazione, però, porta spesso a scelte sbagliate. E così se l'agricoltura soffre e la crisi economica morde, a molti sembra che i vincoli di un parco siano un impiccio e non una soluzione. Per il momento prospera il turismo venatorio. Nonostante sia una delle zone umide più importanti d'Europa, protetta dal 2015 dall'Unesco, il Delta del Po è un paradiso soprattutto per il cacciatore. Ci sono 24 «valli» private, grandi alcune fino a 1000 ettari, dove un lussuoso posto-caccia in un capanno di canne da cui sparare alle anatre è affittato a 50-60mila euro l'anno. Oppure ci sono i cosiddetti «ambiti territoriali», dove possono cacciare soltanto i residenti, previo pagamento della normale licenza di caccia. E molti, siccome la legge consente un accompagnatore, si sono trasformati in piccoli imprenditori dell'accompagnamento venatorio.

Trasformare il Delta in un vero grande parco è l'unica via di salvezza dagli immani pericoli che incombono. Ma c'è da fare i conti con chi guadagna con la caccia. «Emblematico - denuncia il Wwf - è il caso dell'attività venatoria all'interno delle Valli di Comacchio: per consentire la caccia, una porzione è stata classificata come area ”contigua« del parco, pur trovandosi nel suo cuore».

Peggio ancora, questa terra è colpita da un bracconaggio spietato. I cacciatori di frodo usano richiami elettroacustici vietati e non rispettano le quote. Per carenza di controlli, nei confronti dell'Italia è stato aperto in sede europea una procedura di «pre-infrazione» per uccisione, cattura e commercio illegale di uccelli. È dal 1997 infatti che nel Veneto si permette, con il paravento dell'allevamento, di detenere uccelli di razze protette quali pettirossi, usignoli e picchi. «La norma negli anni si è prestata a diversi abusi, ma soprattutto è servita a certi bracconieri per sanare la detenzione di specie protette», denuncia il consigliere regionale Andrea Zanoni, Pd.

Occorrerebbe un deciso cambio di rotta, come richiesto a Ferrara da un cartello di 14 associazioni ambientaliste. «Serve - dice l'appello - un Patto territoriale e ambientale per il futuro del Delta del Po che lo faccia diventare un'area pilota per la tutela della biodiversità e del paesaggio, l'assetto idrogeologico e l'adattamento ai cambiamenti climatici, lo sviluppo sostenibile». E invece c'è un parco rimasto sulla carta, spaccato in due, dalle tutele depotenziate. «Io - racconta Alberto Barini, che ci vive come pescatore e guida turistica - vedo la situazione andare in malora e ci sto male».

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